12 October 2016

Vogue Italy: Ana The Champion

By Vittoria Filippi Gabardi

Famosa per il dritto portentoso e per la bellezza. Ana Ivanovic, global ambassador Shiseido, racconta la sua visione. Illuminata. Per entrare nel campo centrale di Wimbledon i tennisti devono passare sotto un verso di Kipling, iscritto nella calce: «Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina e trattare allo stesso modo questi due impostori». Sottointeso: allora sì che potrai accedere all’Olimpo ed essere là dove giocano gli dei. Ma prima devi sapere che è tutta una finta, un grande bluff: vittoria e sconfitta sono due impostori e solo se riuscirai a gestirli con la stessa noncuranza arriverai lontano. Il campione come un asceta: l’atarassia una via per la felicità, imperturbabile, distante dal successo quanto dalla disfatta. Ana Ivanovic li ha vissuti entrambi, la sua è una storia di cadute e risalite. Vince il Roland Garros nel 2008 ed è la prima tennista al mondo: poi scivola nel limbo delle classifiche e infine torna a essere tra le più brave di tutte. Sicuramente è la più bella. Per questo Shiseido l’ha scelta come global ambassador per la linea di solari Wet- Force. E non solo: per la tenacia, la potenza, la passione. «Quando son diventata la n. 1 avevo 20 anni. È stato meraviglioso ma anche difficile: sono estremamente timida, non mi piace stare sotto ai riflettori, c’era così tanta attenzione su di me! Non è stato semplice neanche tornare in auge: aumentano le aspettative, la pressione. In questa carriera ci sono up&down, nei momenti bui provi a tornare sui tuoi punti forti ma con l’età le cose cambiano: hai bisogno di più lavoro per ottenere i risultati di prima». Lo sport e la vita hanno cicli, ricorrenze, alti e bassi. C’è chi si lascia sopraffare e chi reagisce, come Ana. La forza la trova dentro di sé, o lì vicino: «La mia famiglia è sempre stata importante nel darmi equilibrio, amore, valori. Per questo mi sento molto fortunata». Racconta di un’infanzia passata in solitudine: «Ero una piccola nerd, stavo spesso in disparte. Studiavo sempre. Forse per quello non mi sono pesati gli allenamenti. Amavo i libri, le matite, scrivere. Quando i ragazzini della mia età cominciavano a uscire e andare alle feste, il tennis è stato anche un’ottima scusa per evitare gli inviti». La sua è una carriera felice, cercata, desiderata: «Ho voluto cominciare io, a 4 anni, dopo aver visto Monica Seles in televisione. A casa mia nessuno aveva mai giocato a tennis. A 13 anni i primi sponsor, gli allenamenti pagati, e per i miei genitori è diventato tutto più facile». Non sempre lo è stato per lei: durante la guerra in Kosovo si allena nell’unica finestra in cui sono proibiti i bombardamenti, la mattina, dalle 6 alle 11. Non la ferma niente e nessuno. La passione diventa talento e la timidezza si traduce, in campo, in uno stile aggressivo, dominato da un dritto portentoso: «Non sono certo quella che aspetta che l’avversario commetta un errore. Mi piace costruire il punto. Perciò amo la terra rossa, su altre superfici è tutto troppo veloce». Quest’anno a Wimbledon è stata eliminata al primo turno ma non importa, lo sguardo corre alle Olimpiadi, agli US Open: «Giocando a tennis impari il fairplay, a gestire le sconfitte, a resistere allo stress. La gente vede solo se vinci o perdi e ti giudica su questo, è la cosa più dura, dimentica che siamo persone. Con sentimenti, sogni e talenti diversi. Io lavoro con Unicef per aiutare i bambini che vivono in condizioni di estrema povertà. Vorrei continuare a farlo. Guardo la vita nella sua interezza: il tennis non è tutto, c’è la famiglia, gli amici, magari un fidanzato, la parte più ampia della vita si apre a fine carriera». Campioni e asceti. Resistere alle intemperie, andare avanti. Fino al prossimo match point. Poi si ricomincia.

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